Cardiopoesia – da “La Cima Parlata”
(A. Kussell – 1988)
Si
Riversa in guizzi, in palpiti, una
Volta l’ho udito farsi
La tana nel vuoto orbitante della rosa, ma anche
Nel
Giglio rosso vivo, fra le canne a mo’ d’aeree
Pive d’inverno. Ricava il miele dalle mani dei bambini
Angosciati ai loro svaghi di uomini su uomini, orfani
di tutti i morti del tempo;
Qui dove lo spillo furente cava toni di seta
Dalla bocca dei ragazzi
E l’estate affigge alle pereti uragani, sbuffi di
zavorre
Nei salotti arredati a piramidi
O dirupi.
E
Gli orizzonti che fissano gli
Sguardi, i
Sintomi dei calendari ormai caduti…
Fruscia la vite il suo profondo respiro di vino, con
Il giorno illuminato dalla Parola
In cerca del suo alfabeto…
Rimordono l’alito l’arsura o la rovina usuraia e,
Fra le sillabe, il suo zimbello eletto, veggente di
una bilancia chiusa.
Va così, muda dopo la danza d’amore, gesta il suo
Ice-berg nel pruneto…
Mi provo a sintetizzarlo nel non sapere, mentre non ho
mai capito
Se io fossi o no il suo cerbero fido
O viceversa.
Autunno di settembre che avanza con il suo male bagnato
nei palmi
Ai fiumi senza delta, attento a un cenno sulle lancette
o a un dormiveglia –
L’amaca di buganvillea e la limonata corretta con
Il succo di uno strano frutto amaro - dalle mie parti
non ne
Ricordano il nome… ma cresce e dai templi di lamiera
ne deriva
Il profumo saturo di resistenza.
E
Il vapore fitto
Delle falene ubriache
E
Il vecchio che tira una sacca di rifiuti fino all’angolo
dei venti, dove sta il chiosco
Di melma della buona novella.
L’odore che s’apre dagli spiragli di cantina ricorda
vagamente
L’anguilla che scivola nel secchio di metallo
Arrugginito
E non sfavilla l’oro e non ha canti
L’argento: tutto questo a lui non importa: buttò
Il
Suo bulbo di
patata, questo è tutto, non
Ha vitigni né pepite il cuore del poeta. Non ha cuore,
No, il cuore del poeta…
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